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"I'm brave but I'm chicken shit"

Articolo sui Blog

Riprendo da Holden, che ha avuto la pazienza di postarlo su Genova Blogger’s Corner, un articolo sui blog pubblicato su Il Secolo XIX il 22 Dicembre 2004.

Blog, parole che scottano
Un fenomeno mediatico senza precedenti, capace di influenzare la politica e il costume, di fare opinione e scandalo
Gli “scrittori” su internet saranno 50 milioni nel 2005


Mondo all’erta, è arrivato il quinto potere. È questo il grido silenzioso ma trionfale che rimbalza dal mondo di Internet e che sta suonando la sveglia ai mass media tradizionali. La rete è in fermento e i bloggers, paladini della comunicazione orizzontale e dell’interattività, si stanno rapidamente conquistando una visibilità planetaria.
Per incominciare blog è appena diventata la parola dell’anno 2004 per l’autorevole dizionario americano Merriam-Webster che offre anche un’edizione online. Il sostantivo blog – contrazione di web log – è molto giovane. Compare tra i 500.000 lemmi del Merriam-Webster nel 1999 con questa definizione: “Sito Web che contiene un diario personale con riflessioni, commenti e spesso collegamenti ad altri siti forniti dal compilatore”. Si è aggiudicato il primo posto tra le 10 parole più cliccate del dizionario nel 2004, alcune delle quali richiamano l’inquietudine che ha investito il mondo: uragano, locusta, defenestrazione, rivoltoso, accanto a termini meno ansiogeni e legati alla società civile, come elettorale, sovranità, partigiano, in carica, fino al francese peloton, cioè”gruppone” del ciclismo, sport per cui gli USA hanno recentemente perso la testa.
Ma blog non è primo solo nella volata lessicale. Il neologismo, fino a pochi giorni fa ambiva, anche se con poche speranze, alla copertina del Time, il settimanale americano che ogni dicembre sceglie l’icona rappresentativa dell’anno che W.Bush si è aggiudicato con un secondo mandato. La Person of the Year di questo anno tumultuoso e tormentato avrebbe potuto avere la faccia dei Bloggers. O meglio, il simbolo digitale che rappresenta un esercito di scrittori-editori di se stessi, spesso anonimi, che si firmano con un nickname.
La proposta di innalzare i bloggers a star dell’anno aveva fatto il giro del cyberspazio in poche ore. Era partita da Steve Rubel, un potente PR consulente di comunicazione Business to Business e Client accanito sostenitore del giornalismo partecipato che caldeggia dal suo Micro Persuasion Weblog, molto seguito nella comunità online. I “colpi” messi a segno dalla massa critica dei bloggers sono già numerosi. Con le loro rivelazioni nel 2002 hanno costretto alle dimissioni il senatore repubblicano Trent Lott che si era lasciato sfuggire un apprezzamento razzista a una festa di compleanno, hanno fatto pressioni perché si investigasse sulla Guardia Nazionale di Bush, e oggi i bloggers in lingua inglese e Farsi sono l’unica voce libera che riesce a forare la censura in Iran.
Il tamtam di Rubel ha entusiasmato migliaia di comuni cittadini che possono trasformarsi da fruitori in autori della notizia con un mezzo agile e quasi a costo zero. Basta un computer, una connessione a Internet e qualcosa da dire. Giornalismo elettronico partecipato è la parola magica, un giornalismo che della separazione tra fatto e opinione se ne infischia bellamente. In America l’orgoglio blogger ha prodotto slogan e libri come We the Media di Dan Gillmor, giornalista del San José Mercury e autore del primo blog scritto da un giornalista e pubblicato sul sito del suo giornale. Il libro è un best seller dalla copertina di forte impatto che potrebbe diventare il simbolo dei bloggers: un grande occhio spalancato che squarcia le colonne di un giornale. Politici, professionisti dell’informazione, istituzioni, amministratori della cosa pubblica sono avvertiti. Nell’etere digitale qualcuno fa il cane da guardia e fa sentire la sua voce forte e chiaro.
Il quotidiano parigino Le Monde non ha perso il tram e due settimane fa ha lanciato Le Monde Blogs, aprendo le sue pagine online a “giornalisti” di base che si affiancano a quelle dei professionisti. C’è un blog molto spiritoso e garbato chiamato “Langue sauce piquante” che ha la mission impossible di correggere gli errori scappati dalle penne frettolose dei cronisti.
Insomma il blog è il fenomeno del momento, un nuovo mezzo di comunicazione spontaneo e democratico che, almeno a sentire i commentatori americani, avrebbe il potere di influenzare le scelte del governo, fissare l’agenda politica e formare l’opinione pubblica. In USA il banco di prova sono state le ultime elezioni presidenziali. La notte degli exit polls i collegamenti al sito di Matt Drudge, guru dei bloggers, hanno superato di gran lunga quelli al New York Times, e i risultati sono apparsi sui blogs molto prima che i canali news ne dessero conto.
Ma un ruolo decisivo lo avevano svolto anche prima monitorando le campagne elettorali di Bush e Kerry, verificandone punto per punto le dichiarazioni e confrontandole con i resoconti ufficiali forniti dai giganti dei media.
Mentre leggete questo giornale milioni di bloggers issati sulla virtuale cassetta di sapone di uno speaker’s corner planetario stanno diffondendo e aggiornando in tempo reale i loro diari quotidiani. Dai loro siti rovesciano fiumi di commenti politici, proposte, foto e notizie, insieme a una marmellata di confessioni personali su mal di pancia adolescenziali, delusioni amorose e eruzioni cutanee, e, ahinoi, anche dosi massicce di propaganda, disinformazione, menzogne e bufale. Bisogna saper scegliere, ma per selezione naturale in genere sopravvivono solo i blogs più seri.
Ma tecnicamente cosa sono? Una forma di scrittura pubblica in presa diretta, senza censure e senza revisioni di terzi, spesso ironica e scurrile, che documenta, osserva, critica e soprattutto testimonia l’esigenza di partecipazione della gente comune. Nel 1999 sulla rete i blogs erano solo una cinquantina. Secondo la Perseus Development Corporation nel 2005 saranno 50 milioni. Un’esplosione mediatica di queste proporzioni, dicono i commentatori, non si verificava dal XVII secolo, quando la stampa diventò fenomeno di massa e incominciarono a diffondersi pamphlet e libelli polemici di privati cittadini che prendevano posizione su qualsiasi argomento.
La ribalta nella blogosfera se l’era conquistata di prepotenza il blogger di Baghdad Salam Pax, il fil di fumo digitale che l’anno scorso in piena seconda guerra del Golfo e sotto una pioggia di missili era diventato visibile al mondo intero. Oggi il giovane architetto è una star, ha scritto un libro tratto dai diari pubblicato anche in Italia, collabora con l’ingleseThe Guardian.
I bloggers non l’hanno spuntata sulla concorrenza un po’ sleale di un clamoroso Bush bis, e comunque in lizza c’erano corazzate come Bin Laden, Saddam Hussein e il grande sconfitto Kerry. Ma sarebbe significativo se prima o poi nella galleria di ritratti delTime, tra le copertine bordate di rosso dedicate al Computer (1982), al Papa (1994), a George W. Bush (2000), a Rudy Giuliani (2001), alle donne che hanno smascherato gli scandali più imbarazzanti degli USA nel 2002, al soldato americano (2003), in un futuro non lontano si aprisse il grande occhio dei mastini dell’informazione istantanea: i Bloggers, veloci e leggeri come il protagonista della prima copertina del Time che inaugurò il Personaggio dell’anno. Quella del 1927 con il bel volto di Charles Lindbergh, il primo trasvolatore atlantico in solitario sul mitico Spirit of Sain Louis.

GIULIANA MANGANELLI
22/12/2004


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