Home

"I'm brave but I'm chicken shit"

Don’t be evil

Negli ultimi anni Google ha aumentato la sua offerta di prodotti e servizi, alcuni indovinati, altri sbagliati e abbandonati, dando a volte l’impressione di procedere a tentoni e di navigare a vista. Sparare nel mucchio sperando di colpire almeno un bersaglio è una cosa che ti puoi permettere se hai molte risorse, ma non è una cosa elegante né efficiente.

Le recenti modifiche a Reader, che hanno eliminato gli shared items, un prezioso strumento di circolazione delle idee e delle informazioni, le perplessità su Google+ relative alla gestione macchinosa delle cerchie, i fallimenti di Buzz e Wave, sono solo alcuni degli episodi che minano la fiducia delle persone nei confronti di Big G.

Qualche tempo fa Steve Yegge, un ingegnere del software di Google, ex Amazon, ha scritto un lungo e interessantissimo post sulla mancanza di visione d’insieme, sulla differenza tra piattaforma e prodotto e sull’accessibilità. Il post era destinato a circolare internamente come memo sulla filosofia di Google e contiene diverse critiche all’azienda, alcuni commenti non particolarmente lusinghieri su Jeff Bezos e severe critiche ad alcuni prodotti di G. Ironicamente, Yegge ha sbagliato a postare e l’articolo è apparso nella timeline pubblica, ricevendo grande attenzione.

Si tratta di un post molto interessante e illuminante, prorpio perché destinato ai colleghi di Yegge e scritto senza “filtri per il pubblico”; le considerazioni sulla differenza tra confezionare un prodotto con la presunzione di sapere ciò che vuole l’utenza e l’introduzione di nuove funzioni in base al feedback, sono di quelle che ti fanno annuire durante la lettura.

Uno delle cose migliori fatte da Google è Gmail. Gmail non è nato come è adesso: le sue funzioni sono state aggiunte nel corso degli anni, all’inizio era molto più scarno sia funzionalmente che visivamente e non si è mai percepita l’ansia di fornire un prodotto che facesse tutto e fosse all’altezza di altri che magari dominavano il mercato in quel momento. La lenta evoluzione e il costante monitoraggio di come venisse usato dalle persone, gli ha fatto raggiungere l’eccellenza. Google+ sembra fatto da un’altra azienda; una di quelle che rincorrono Facebook.

Vi consiglio di lettere il post, anche se sono troppo pigro per tradurlo, perché ne vale la pena.

Il passo sull’accessibilità è molto bello:

I’m not really sure how Bezos came to this realization — the insight that he can’t build one product and have it be right for everyone. But it doesn’t matter, because he gets it. There’s actually a formal name for this phenomenon. It’s called Accessibility, and it’s the most important thing in the computing world.

The. Most. Important. Thing.

If you’re sorta thinking, “huh? You mean like, blind and deaf people Accessibility?” then you’re not alone, because I’ve come to understand that there are lots and LOTS of people just like you: people for whom this idea does not have the right Accessibility, so it hasn’t been able to get through to you yet. It’s not your fault for not understanding, any more than it would be your fault for being blind or deaf or motion-restricted or living with any other disability. When software — or idea-ware for that matter — fails to be accessible to anyone for any reason, it is the fault of the software or of the messaging of the idea. It is an Accessibility failure.

Like anything else big and important in life, Accessibility has an evil twin who, jilted by the unbalanced affection displayed by their parents in their youth, has grown into an equally powerful Arch-Nemesis (yes, there’s more than one nemesis to accessibility) named Security. And boy howdy are the two ever at odds.

But I’ll argue that Accessibility is actually more important than Security because dialing Accessibility to zero means you have no product at all, whereas dialing Security to zero can still get you a reasonably successful product such as the Playstation Network.

Steve Yagge non ha apparentemente subito conseguenze e copie del post circolano liberamente su G+, questo va riconosciuto a Google; lo stesso Yagge si dice soddisfatto delle reazioni che l’articolo ha suscitato nella sua azienda.

Google è ormai una presenza enorme che ci affianca in un modo o nell’altro durante la nostra attività in rete; la differenza tra la comodità e l’invadenza è molto sottile, e nulla dura in eterno. Sono curioso di vedere cosa succederà negli anni a venire.


Pubblicato

in

da

Commenti

7 risposte a “Don’t be evil”

  1. Avatar Dario Salvelli

    Andrea, secondo me quello di Yegge è una sorta di mistake marketing. 🙂

  2. Avatar Oberon

    Ho avuto anch’io l’impressione che negli ultimi anni G si sia messo a sparare nel mucchio nella speranza di beccare qualcosa. L’ansia di arrivare dove altri sono arrivati da tempo (facebook) è infondata e soprattutto deleteria. Non per altro, non è il suo campo.

    Dovrebbero a mio parere concentrarsi su Gmail e sui servizi ad essa annessi (plus escluso). Gmail-desktop e Gmail-android bastano e avanzano per “dominare”.

  3. Avatar Tambu

    quel che sta facendo adesso è proprio il contrario dello sparare nel mucchio. Ha scelto G+ come punto centrale delle sue attività e – volenti o nolenti – sta cercando di far convergere tutto lì. Se quindi prima non andava bene, come può non andare bene nemmeno adesso? 😀

  4. Avatar Andrea

    Tambu, non lo penso solo io. Anche il tipo del post sembra essere di questa opinione. E un conto è convergere, un altro buttare via feature come gli shared items.

  5. Avatar Tambu

    Gli shared item mancano anche a me, ma il loro ragionamento mi sembra chiaro ( e addirittura condivisibie considerando i precedenti flop): non possono far altro che forzare il piú possibile verso g+, e considerando che in passato venivano criticati perchè facevano troppi tentativi a caso o lasciavano troppi prodotti simili, mi sembra assurdo che ora ci si lamenti del contrario…

  6. […] Né elegante né efficiente → […]

  7. Avatar Michele

    E se l’avesse davvero pubblicato “on purpose” anziche` per errore?