Home

"I'm brave but I'm chicken shit"

Turin Marathon 2015. Del quando le cose sono peggiorate improvvisamente.

Dopo una notte di diluvio universale, alle 7 del mattino il cielo è terso e non si vede una nuvola. Arrivati in centro prendiamo l’ultimo caffè e mi preparo per la partenza. C’è meno gente di quanta me ne aspettassi: l’organizzazione dichiarerà poi 2500 iscritti. Mi unisco al gruppo, la temperatura è perfetta, ci saranno 15/16 gradi e il sole intiepidisce l’aria, vento completamente assente.

La partenza è in orario e non c’è molta ressa: mi aspettavo il solito show di gomitate e di gente che ti taglia la strada, invece è tutto molto ordinato e la gente è tranquilla.

3.45Mi sento bene, le gambe sono leggere e le condizioni mi sembrano perfette. Senza averlo deciso prima, mi trovo proprio dietro i pacer delle 3 ore e 45, tempo che corrisponde a una media di 5’20”/km. E’ un ritmo che non ho nelle gambe per tutta la durata di una maratona, ma mi sento talmente leggero che decido di stare un po’ con loro. Lascio andare le gambe, controllo scrupolosamente di non inciampare nelle buche del pavè di Via Po e dopo qualche centinaio di metri il gruppetto con i pacer è alle mie spalle. Mossa azzardata ma, veramente, le gambe corrono come se non fossero le mie. Anche su un primo accenno di salita non ho il minimo contraccolpo, e stacco i primi 5 km fresco e tranquillo, a una media di 5’15”/Km. Troppo veloce. Senza colpo ferire arrivo ai 10 Km ancora più veloce: il Garmin registra 5’12”/Km dal quinto al decimo. A Nichelino, al km 13 un gruppo di ragazzi con quattro batterie suona “We Will Rock You”, la musica mi fa l’effetto di una spinta e mi sento sempre più carico. Ogni 5 chilometri ho diligentemente bevuto e periodicamente sgranocchio una compressa di Enervit. Stacco il sedicesimo chilometro a una media 4’59”/km: la pagherò cara.

La mia marcia continua e sembra che l’energia non debba finire: raggiungo il traguardo della mezza maratona in 1 ora e 50. Cominciano i primi diverbi degli automobilisti bloccati agli incroci, per fortuna se la prendono con i vigili e lasciano in pace chi corre; da qui in poi vedrò ancora un tre o quattro persone infuriate, ma comunque nessun dramma epocale.

Continuo a correre felice e leggero: mi sento benissimo, le gambe tengono, non ho fame né sete. Comincio a sperare nel colpaccio. Fino al km 28 tengo bene e la media è sempre più o meno quella, impossibile, che sto tenendo. Ogni tanto mi volto indietro e i palloncini delle 3 ore e 45 non si vedono quasi più; me lo ripeto nella testa: “Per ora la proiezione di arrivo è inferiore a 3 ore e 45”. Non so neppure io come ho fatto a crederci.

In Corso Lecce, più o meno al km 26, faccio due chiacchiere con Pino, un signore che saltella leggero. “Due anni fa ho chiuso in 3 ore e 45, l’anno scorso avevo una contrattura e ho finito in 4 ore e 14. Di solito corro i 10 km in 40 minuti. Ho 65 anni”. Gli faccio i complimenti, ma dentro di me lo maledico un po’.

Al km 28 ho uno scontro frontale con la realtà nella forma di Corso Appio Claudio, che costeggia il Parco della Pellerina: 2 chilometri di salita bastarda (voi la chiamate falso piano, ma dopo 27 km di corsa mi sembravano lo Stelvio) che mi spezza completamente le gambe. Per il primo km cerco di tenere (5’17″/km), il secondo è già 5’25”/km, e da quel momento in poi continuerò a rallentare. Arrivo a 30 km con una media totale di 5’17”/km, che è comunque un ritmo molto buono.

Dal km 30 al 35 circa tengo il ritmo “giusto” quello che sarebbe stato nelle mie gambe e che più o meno avevo preventivato; i pacer sono ancora dietro, anche se si stanno avvicinando. Cominciano a dolermi le gambe e le sento pesanti, a 33 i pacer mi superano. Vabbe’, sono comunque abbondantemente sotto le quattro ore e non manca tantissimo, mi dico che ce la dovrei fare.

Se prima ho avuto uno scontro frontale, al 35 mi arriva una locomotiva in faccia: basta, è finito tutto. Le gambe non si muovono più, barcollo, mi sembra di correre immerso nella melassa. Il fiato tiene, le pulsazioni sono basse, ma i muscoli non esistono più. Traccheggio per un altro chilometro poi, improvvisamente, comincio a camminare. Mai successo in una gara, io che cammino. Ci provo, trotterello qualche metro, poi le gambe si rispengono, non obbediscono ai comandi, riesco solo a camminare e neanche troppo veloce, tra l’altro. In tutto questo arrivano dei crampi devastanti. Un polpaccio ed entrambi i quadricipiti; il problema grosso sono i quadricipiti: il dolore non è importante, quello si sopporta, non esiste, si reprime; il problema grosso è che le gambe non si muovono, sono di legno, sono bloccate. Posso solo camminare; riesco a corricchiare qualche metro appena si sciolgono, ma subito le gambe si fermano di nuovo e da qui in poi il cronometro diventa una barzelletta.

Sono passato da “finire alla grande” a “finire meglio dell’altra volta” a “finire entro le 4 ore” a “finire”. Che io finisca non è neppure in discussione, gli ultimi 5 km li posso fare strisciando, ma finisco.

Per due volte chiedo l’ora agli spettatori e cerco di distrarmi con improbabili proiezioni del tempo di arrivo, ma la dura realtà è che ho La Morte che mi alita sul collo, sono sfinito, le energie sono sparite, mi fanno male le gambe e non riesco a correre. Ho avuto momenti migliori. Non riesco neppure più a usare tecniche Zen o ripetermi dei mantra o concentrarmi su qualcosa che non sia mettere un piede davanti all’altro. Sono i 5 chilometri più difficili che abbia mai percorso e ho visioni di me che taglio il traguardo carponi vomitandomi sulla maglietta.

Neppure il cartello dell’ultimo chilometro riesce a darmi una sferzata di energia: ho finito la benzina, non ho più nulla, la testa ordina ma il corpo non esegue. Svolto all’altezza di Porta Nuova e arrivo finalmente in Via Roma: vedo il traguardo e mi sembra più lontano della Siberia. In Piazza San Carlo la beffa finale: mi sorpassano i pacer delle 4 ore. Cerco di correre un po’ per non farmeli sfuggire ma senza successo: alterno corsa e cammino ogni 20 metri.

In tutto questo, la pelle d’oca: il meraviglioso pubblico appoggiato alle transenne si rende conto che sono molto in difficoltà; devo avere il volto devastato da una smorfia di sofferenza, cammino barcollando e corro con una pesantezza che racconta tutta la mia fatica. E allora urlano, mi incitano, mi incoraggiano, mi dicono di non mollare e mi dicono bravo, proprio a me, perché in quel momento ci sono solo io.

Finalmente entro in Piazza Castello e decido di morire: voglio tagliare il traguardo correndo, costi quel che costi. Accolgo la fine come una liberazione e fermo il cronometro a 4 ore e 34 secondi. Dovessi dire se c’era una possibilità di limare quei 34 secondi direi che no, 4 ore e 34 secondi è il massimo che ho potuto spremere dalle mie gambe in questi 42.330 metri.

Mi fermo, rischio di cadere e sono un po’ disorientato. So che mi danno una medaglia perché me la troverò appesa al collo, ma non saprei dire chi o quando.Mi trascino al ristoro, bevo un sorso di the e mangio una banana; camminare mi riesce difficoltoso, mi fa male tutto.

Ripenserò poi a cosa sia successo quegli ultimi 7 chilometri: forse sono partito troppo veloce, forse ho mangiato poco la mattina, forse doveva andare così o forse alla mia età ho semplicemente raggiunto i miei limiti. La cosa importante è che sia riuscito a finire, che mi sia divertito malgrado tutto, che abbia fatto la cosa che mi ero prefissato di fare. Il giorno dopo non c’è un muscolo che non mi faccia male, ma sto bene e mi sento leggero.

(E ringrazio Fabio e Anna per tutta l’ospitalità, il supporto e l’amicizia che mi hanno regalato.)

 


Pubblicato

in

da

Commenti

5 risposte a “Turin Marathon 2015. Del quando le cose sono peggiorate improvvisamente.”

  1. Avatar Denny Biasiolli

    Complimenti comunque per la forza di volontà di quegli ultimi sette km!
    “Non è il risultato che conta ma la tenacia e il coraggio con i quali abbiamo lottato per ottenerlo, qualsiasi esso sia.”
    (Carl Lewis)

  2. Avatar Gabriele
    Gabriele

    Anzitutto i complimenti sono sempre d’obbligo quando uno finisce la maratona a prescindere dal tempo.
    Leggendo la prima parte del tuo racconto avevo già capito quale sarebbe stato il finale 😉
    Poco male, adesso si raccolgono i pezzi e si pianifica un nuovo obbiettivo!

  3. Avatar gianmaria
    gianmaria

    Cose che capitano 🙂
    L’anno scorso ho partecipato ad una corsa di 22 km (si, un pò più di una mezza) e su un percorso per me molto difficile, campestre, pieno di saliscendi e salitoni, ho corso i primi 5 km a 4m35s/km. Arrivato a 21km mi sono messo a camminare pure io. A posteriori, e sperando di riuscire ad evitare di ripetermi, debbo dire che è stata un eccellente esperienza.
    g.

  4. Avatar Roberto
    Roberto

    Domenica per la prima volta correro’ una maratona, Chicago. Ho il terrore di partire troppo forte, visto che mi succede spesso in allenamento quando pero’ faccio meta’ dei km.
    Prendero’ la tua esperienza come monito e spero di soffrire veramente anche io “soltanto” 7km e non di piu’ 🙂

  5. Avatar Marco -

    Mi ritrovo molto in ciò che scrivi, sembrano le cronache delle mie gare eheh… la maratona è difficile e non va sottovalutata, certamente sei partito forte però, tutto sommato, il crollo l’hai avuto tardi; io ho gli stessi problemi e di certo non posso dare consigli (per quello meglio leggersi il buon vecchio Albanesi) e comunque l’importante è finire!!!!!