L’anno scorso l’ho saltata per l’operazione al menisco e sono irritato ancora adesso. Mi ero iscritto talmente presto che avevo il pettorale N. 22: prima di me solo Kenioti e top runner, credo. Quest’anno ho fatto poco di meno: pettorale 72 su 3.000 iscritti. Capirete il nervoso quando due mesi fa ha cominciato a farmi male il polpaccio sinistro. Dolori passeggeri, a volte forti. Mi credevo guarito ma il mese scorso ho corso la Stramilano e mi sono fatto male: da quel momento non sono più stato al 100%. Ho cercato di riposarmi e di curarmi, ma sapevo di non essere a posto e neppure lontanamente pronto per affrontare una Mezza. Malgrado tutto la mezza della mia città conta molto per me, e ho deciso che l’avrei corsa comunque.
Arrivo alla mattina della gara senza aver corso per 15 giorni, e venendo da un periodo di allenamenti scarsi e poco fruttuosi. Almeno ho mangiato, bevuto e dormito bene nei giorni precedenti; il pochissimo che potevo fare l’ho fatto. Non fa caldo ma neppure particolarmente freddo, decido di correre con la sola canottiera. L’incognita è il vento, che in effetti ci darà un po’ fastidio nei tratti più aperti del percorso.
Le prime avvisaglie che sarebbe stata una gara difficile arrivano già mentre mi scaldo, con cautela: il polpaccio mi “tira”, lo sento che mi parla e mi fa le boccacce prendendomi in giro. Bei momenti prima della partenza: cantiamo tutti insieme l’Inno di Mameli e scherziamo sulle nostre, previste, scarse prestazioni. Cerco di ignorare la gamba, ma con poca fortuna: già pochi metri dopo la partenza comincia a farmi male e il dolore non mi abbandonerà mai più.
L’altimetria presenta qualche saliscendi, non troppi per fortuna; mentre le discese sono un’occasione per rilassare il muscolo dolorante, le salite, anche accennate, sono fonte di sofferenza e dolori pungenti. In qualche modo riesco ad arrivare fino al mare, al km 6, con tempi ampiamente superiori ai 5’/km, ma tanto non ho certo obbiettivi di cronometro, voglio solo portare a casa la gara. Il tratto in salita di Corso Italia lo patisco parecchio e cerco anche di modificare un po’ la meccanica della mia corsa per non gravare troppo sulla parte dolorante. Ottengo scarsi risultati, stringo i denti, ignoro il dolore che a tratti diventa acuto e pungente, e raggiungo Boccadasse dove c’è un inversione a U al km 8. Qui perdo Corrado, il mio compagno, che sta recuperando dalle fatiche della Maratona di Roma e cerca di prenderla con molta calma; non riesco a modificare il mio ritmo senza pesare troppo sui miei dolori e decido di lasciare andare le gambe come posso.
Mi barcameno fino al decimo km e arrivo in Piazzale Kennedy, dove c’è un bivio: a sinistra per la gara da 13 km, a destra per la mezza maratona. “Mmmm, potrei andare a sinistra e accontentarmi delMA CHE CAXXO STO DICENDO HO INIZIATO UNA MEZZA E FINISCO UNA MEZZA!”
Per punirmi, accelero gli ultimi 100 metri prima della rampa della Sopraelevata (non è vero). E’ una rampa breve, ma ripida; la devo correre praticamente con una gamba sola per sgravare il più possibile il polpaccio infortunato. Arrancando tutto storto guadagno la sommità e inizio la parte pianeggiante di 4 km che segue lo sviluppo della strada; in pratica un lunghissimo ponte. La vista è bella, ma un tratto così può essere molto difficile psicologicamente per l’effetto “non finisce mai!”, specie se non stai benissimo. Passo in rassegna tutti i trucchi che conosco, e decido per la soluzione Zen. Comincio a contare ossessivamente i respiri, da 1 a 8, per decine e centinaia di volte, svuotando la mente e astraendomi il più possibile dal mondo circostante. Lo stratagemma sembra dare qualche frutto: per qualche km il mio ritmo aumenta e si fa costante; la strada passa e il dolore sembra diminuire.
Ai margini della strada, tante persone salutano e ci guardano correre, contente di riconquistare un pezzo di città che è riservato alle auto durante tutto il resto dell’anno. Ogni tanto accuso forti fitte, ma cerco di non curarmene, tanto ormai sono in ballo e devo ballare: camminare non è contemplato e sicuramente mi farebbe ancora più male. Tanto vale correre e arrivare il prima possibile. Finalmente arrivo in fondo e scendo verso l’ultimo tratto che dal giro di boa mi riporterà indietro.
Al km 17,5 il momento più temibile: la famigerata rampa di 500 metri che risale sulla Sopraelevata prima degli gli ultimi 3 km. Credo che siano stati i 500 metri più difficili di tutta la mia carriera podistica: mi fa male, tanto. Rallento vistosamente, stringo i denti, mi ripeto tutta una serie di motivi per i quali è giusto che io sia qui, in questo momento e in questa situazione. Dopo un’eternità (solo chi corre sa quanto possono essere lunghi 3 minuti) sono di nuovo in Sopraelevata per il tratto che mi porterà all’arrivo. Ormai è fatta, il cuore è più leggero, riesco anche ad aumentare il ritmo e addirittura staccherò il km veloce al 21°.
Il dolore c’è ma me ne faccio beffe, ho vinto io. Ormai so che ce la farò a tagliare il traguardo, tutto il resto conta meno in questo momento. Riesco ancora a superare qualcuno, imbocco l’uscita in discesa e vedo il traguardo; sto portando a casa una gara corsa con la forza della tigna; ho incanalato tutta la mia essenza di sopraffino rompiballe verso il dolore al polpaccio, cercando di ostacolarlo in tutti i modi. Ci sono riuscito, taglio il traguardo e immediatamente inizio a zoppicare. Adesso mi devo riposare e devo guarire completamente; non avrei neppure dovuto correre questa, e fosse stata un’altra occasione sarei sicuramente rimasto a casa.
L’importante è aver raggiunto l’obbiettivo. I prossimi saranno il recupero, il riposo e le cure.