L’altro giorno riflettevo come le esperienze fatte da bambini ed elaborate nel corso della vita portano a strani risultati che spesso hanno poco in comune con i fatti accaduti, come se fossero scintille, pretesti per costruire convinzioni, preferenze, idiosincrasie, e perfino coltivare talenti.
Deserto del Nuovo Messico, 1947. E’ l’alba. Una famiglia americana percorre una superstrada e si imbatte in un furgone che ha avuto un incidente; il selciato è ingombro di corpi sanguinanti di indiani che stavano andando a lavorare. Forse un paio sono addirittura morti. A bordo dell’auto ci sono due anziani e una coppia con due figli: Anne, appena nata, e James, di 3 anni, che viene segnato da questa esperienza per gli anni a venire e si convince che le anime di due indiani siano entrate nella sua mente e abbiano continuato a parlargli per il resto della sua vita. Assorbe quell’esperienza, che lo ispirerà nel bene e nel male fino a condurlo ad una morte prematura nel 1971.
James diventerà un poeta e un regista. Nel 1965 fonda una band destinata a diventare uno dei gruppi più celebri e venerati della storia del rock e lui stesso diventerà un’icona della rivoluzione culturale del 1968. Il suo nome è James Douglas Morrison, detto Jim, e la sua band si chiama The Doors.
Il fatto che questo incidente non sia mai accaduto con le modalità raccontate da Jim Morrison – è stato ridimensionato dal padre – non è rilevante: l’esperienza vissuta, filtrata dal tempo, dalla riflessione e dalla elaborazione successiva ha influito sull’incredibile talento e sull’opera di un uomo che ha lasciato un segno indelebile sulla sua generazione e su molte a venire.
Qui potete ascoltare il racconto dalla voce di Jim Morrison. Il pezzo che segue è “Peace Frog”, del 1970; è uno dei numerosi brani della sua produzione, influenzato da tragiche visioni di sangue che scorre sulla strada.
L’ultimo è “Ghost song”, che appartiene a “An American Prayer”, un album uscito nel 1978, 7 anni dopo la sua morte e contiene poesie e brani recitati da Morrison a cui i membri superstiti hanno aggiunto le basi musicali. Il brano è esemplificativo del pathos e della forza delle sensazioni evocate da quest’uomo, che tra le altre cose è una delle voci più belle che abbiano animato le scene del rock.
(Edit: Se leggete dal feed, per ascoltare la playlist dovete andare sul post. Spiacente, ma dipende dall’embedding Flash.)
Commenti
Una risposta a “La mente di un bimbo è fragile come un guscio d’uovo”
Ho riconosciuto il brano già dal titolo del post 🙂 “An american prayer” è, tra i loro album, quello che preferisco, quello che può andare bene sia per un ascolto mirato di un brano o due, sia intero, in loop, per i lunghi viaggi.