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"I'm brave but I'm chicken shit"

15a Castellazzo Half Marathon

A una settimana di distanza dall’ultima, domenica ho corso un’altra mezza maratona, ecco com’è andata.

Mi alzo la mattina e subito il tempo non mi sembra così male, ma devo essere ancora un po’ addormentato perché non faccio in tempo a salire in auto che comincia a scendere una pioggia fittissima, di quella che non ce la fa neppure il tergicristallo alla massima velocità. Passo a prendere Corrado, che sale fradicio, poi Fabrizio, e ci dirigiamo verso la ridente Castellazzo Bormida.

Piove, piove forte lungo tutto il tragitto e al nostro arrivo non accenna a smettere; parcheggio praticamente davanti alla partenza e scendiamo di corsa a ritirare i pettorali e a cambiarci nello spogliatoio.
Io non lo so come mi sento, un po’ mi spiace per la pioggia, un po’ mi sembra di essere stanco; ho anche dormito male appesantito dalla pizza all’uranio impoverito che ho mangiato ieri sera.
Comunque: la mezza di Castellazzo mi piace, ci sono affezionato, è organizzata bene e con grande passione dal club locale ed è anche la sede del mio record personale, e non volevo mancare.
L’idea è la solita: non avere un’idea. Fabrizio si è gentilmente offerto di farmi da pacer per qualsiasi ritmo io voglia tenere: per lui è comunque un allenamento che deve fare.
Attendiamo in auto che arrivi l’ora della partenza e il tempo sembra placarsi, tanto che smetterà di piovere pochi minuti prima del via, per poi riprendere debolmente alla fine della gara.
Si parte senza grandi cerimonie e io comincio l’improvvisazione cialtrona che tanto mi diverte ultimamente; dico a Fabrizio di portarmi a spasso a 4′:45″/km: cominciamo così e poi si vedrà.
Non so chi voglio prendere in giro: è un ritmo chiaramente al di sopra delle mie possibilità, ma chissene.
Siamo partiti in seconda fila, quindi nel primo chilometro, malgrado l’andatura allegra, sembriamo fermi: ci sorpassa un folla di gente che procede spedita e molto più veloce di noi, e io penso “Boh”, letteralmente.
Il tempo è umido e grigio, il panorama di strade tra i campi è inesistente, monotono e deprimente, i paesi si succedono tutti uguali; non c’è nulla con cui distrarsi.
Fabrizio è quasi ossessivo nella sia precisione: controlla il Garmin, mi fa cenni, mi rallenta ogni tanto, mi spinge quando deve.
Tanto lavoro porta ottimi frutti: per i primi 5 chilometri teniamo un ritmo preciso al secondo, ma io comincio a rendermi conto di non avere abbastanza benzina per correre altri 16 chilometri a questa velocità e prima di scoppiare è necessario che io rallenti. E’ troppo presto per cominciare a soffrire.
La corsa a sensazione prende il sopravvento e per i seguenti 8 chilometri rallento progressivamente fino a 5’/Km, tanto che Fabrizio sembra preoccupato: “Va tutto bene? Ce la fai?” Sì, ce la faccio ho solo rallentato un po’.
Prendo un gel verso il decimo e comincio a stufarmi: sono stufo di andare piano, sono stufo di sentirmi stanco, sono stufo di dover subire tutte ‘ste menate.
Allora improvviso una nuova strategia: decido di riposare ancora un paio di chilometri per poi aumentare nuovamente il ritmo. Posso anche star male per quegli ultimi sette o otto chilometri, non muoio mica.
Poco prima del dodicesimo c’è una salitina, una tizia mi sorpassa e cerca di andare via, ma io decido che è arrivato il momento e mi adeguo al suo ritmo, mentre Fabrizio comincia a non capirci più nulla.
Da un momento all’altro aumento il ritmo di 10 secondi a chilometro, seguo la tipa che poi comincia a soffrire perché dall’undici e mezzo al quattordici è tutto un lungo rettilineo, e lei è sola e la testa non l’aiuta, tanto che la sorpasso e ci chiede di stare con noi perché non ce la fa quasi più.
Finalmente le gambe girano meglio, mi sento leggero, mi sto divertendo.
Naturalmente non durerà a lungo: al diciottesimo la gara mi presenta il conto, ma io chiedo lo sconto e rallento solo un poco stringendo i denti e pensando “non mi avrai”.
Ormai manca poco e io conosco bene il percorso, il che è una cosa che mi dà un grande aiuto psicologico; gli ultimi 500 metri accenniamo anche uno sprint e mi spendo tutto quello che ho, tanto è finita.
Taglio il traguardo con Fabrizio staccando un tempo insperato: 1 ora e 41, sette secondi di differenza rispetto al tempo fatto la settimana scorsa. Non ci speravo affatto, visto come si erano messe le cose, ma è un’altra conferma che la testa conta tanto, molto di più di quello che siamo disposti ad ammettere.

Il tempo di una doccia e uno spuntino e ci rimettiamo in viaggio per casa sotto una pioggia che nel frattempo si è fatta torrenziale. Archivio la mia 24a mezza maratona, per oggi me la godo, e domani si pensa alla prossima.


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