TLDR: Sto bene, grazie. Ma è solo culo.
Come una scena di un film, un po’ stereotipata, inizia con un primo piano sulla smorfia di terrore che deforma un viso.
Lentamente, al rallentatore, l’inquadratura si allarga e appare un uomo, fermo a mezz’aria, in orizzontale, rivolto verso il cielo; impugna nella mano destra un’elettrosega che sta ancora funzionando, la sinistra inutilmente tesa a cercare un appiglio qualsiasi sull’albero di olivo dal quale sta cadendo.
Sotto di lui, ormai inutile, una scala di alluminio sta rovinando a terra.
Una donna è ai piedi dell’albero, un paio di metri più a destra.
L’uomo ha la paura dipinta sul volto, perché è conscio di due cose: la prima è che la lama della sega, una di quelle elettriche, non molto grandi ma che taglierebbero un braccio o una gamba come burro, sta ancora girando, sta cadendo con lui e sta cadendo verso la donna, sua moglie, che è proprio lì sotto, dallo stesso lato.
L’altra cosa di cui è tragicamente consapevole è che sotto di lui non c’è il terreno reso soffice dalle foglie, no. Sotto di lui, proprio perpendicolare all’asse del suo corpo c’è un basso muretto, largo una ventina di centimetri, ricoperto di vecchi mattoni rossi.
A quel punto, come nella scena di un brutto film, l’azione scorre veloce al contrario per mostrare come e perché l’uomo sia in quella situazione.
E’ un concorso di cause: il terreno sul quale poggia la scala è soffice e sdrucciolevole a causa delle copiose piogge dei giorni precedenti; l’uomo indossa scarpe non adatte al lavoro che sta facendo: un paio di vecchie Clarks con la suola liscia. Sta potando gli olivi del suo giardino, e le scarpe sono unte dalle centinaia di olive cadute a terra e spappolate dai passi. Gli scalini della scala sono in alluminio, già scivolosi da nuovi e ancora di più adesso che la scala è vecchia e l’antiscivolo è consunto dall’uso. L’uomo è salito sulla scala al contrario, con la schiena girata verso il fulcro della scala, e sta cercando di tagliare un ramo, tenendo la sega con due mani perché pesa e il ramo è lontano da lui. Tutte cose che sa benissimo essere pericolose, ma ormai è alla fine, mancano un paio di tagli, cosa vuoi che sia, l’ha fatto mille altre volte.
Improvvisamente la musica celestiale si fa più alta, mentre l’uomo sente franare la scala sotto di sé. E da lì si prosegue, al rallentatore.
La sega nella destra, la sinistra inutilmente annaspa alla ricerca di sostegno, le suole unte scivolano sui gradini, la scala finisce per mancare del tutto, e l’uomo si trova orizzontale, a un paio di metri da terra, mentre inizia la sua discesa.
Il tempo sembra fermarsi e la mente dell’uomo esce da sé stessa per valutare ciò che sta succedendo.
Worst case scenario: l’uomo cade battendo la nuca o il collo sul muretto e muore, o diventa tetraplegico — che probabilmente è peggio — e nel contempo ferisce gravemente la moglie con la sega.
Scenario più ottimista: il freno di emergenza fa in tempo a fermare la lama, la moglie fa in tempo a scansarsi e il muretto colpisce a metà della schiena. “Solo” paralisi degli arti inferiori, una vita su una sedia a rotelle, vissuta in una casa che è il poster delle barriere architettoniche.
L’uomo pensa al fardello che diventerà per la propria famiglia un marito e un padre non più autosufficiente, pensa a come farà a continuare a lavorare, pensa che da luglio non è ancora riuscito a riprendere a correre e che probabilmente non correrà mai più.
Si chiede come faranno i soccorsi a raggiungerlo, visto che a casa sua non arriva neppure la strada.
La caduta sembra durare ore. Ore di angoscia, in cui l’uomo attende il verdetto.
Alla fine, lentamente il muro arriva, la scena riprende a velocità normale e l’urto è forte, all’altezza dei reni, la moglie è illesa. Non si sente il “crack” che l’uomo si aspettava, il rumore è più sordo, è quasi un tonfo.
La prima sensazione non è dolore, è paura. L’uomo urla con tutto il fiato che ha e si accascia al suolo. Arriva subito la nausea, prima ancora che cessino le urla, il respiro è difficile. L’uomo sente confusamente la moglie che dice qualcosa e alla fine afferra un “non ti muovere, non cercare di alzarti”. Istintivamente prova a muovere gambe e piedi e tutto sembra funzionare, l’uomo è incredulo, pensa che probabilmente si sarà rotto qualcos’altro. Per forza, deve essersi rotto qualcosa, la caduta è stata troppo brutta e troppo alta.
Alla fine l’uomo riesce a mettersi carponi e poi ad alzarsi, zoppicando leggermente. Incredibilmente non ha dolore, ma solo indolenzimento.
Per la botta, o per lo shock, non riuscirà a muoversi a velocità normale per circa un’ora, ma piuttosto il suo corpo lo costringerà a muoversi come un bradipo guardingo, sebbene non senta male. Quasi una diffidenza ad accettare il fatto che non ci siano state altre conseguenze che un grosso spavento e un livido sulla chiappa destra.
L’uomo apprezza la possibilità di muoversi e gioisce ad ogni passo, ed è grato alle sue gambe che lo portano ancora in giro. Almeno per oggi.