Oggi il cielo ci ha regalato un’altra splendida giornata di primavera precoce e una temperatura che è una tragica beffa per chi deve rimanere chiuso in casa.
Stamattina le consuete confcall di lavoro che, per ora, non accenna a diminuire benché gli strumenti di videoconferenza comincino a risentire della botta di traffico aggiuntivo: sono un paio di giorni che Microsoft Teams e Cisco WebEx Meeting funzionano un po’ a strappi e se dovessero cedere sarebbe un’ulteriore complicazione.
A metà mattinata ho compilato la mi autodichiarazione e sono uscito per un po’ di spesa: primo stop al supermercato. Esco dal parcheggio sotterraneo, prendo un carrello e mi metto in coda fuori; sono distratto, ho la musica in cuffia e sono determinato a prenderla con calma godendo del tepore primaverile. La mia svagatezza fa sì che io non mi renda bene conto da subito di dove inizi la coda, che fa ben due curve a 90 gradi, e mi inserisca in modo da tagliare una decina di persone. Ho le cuffie, guardo altrove, non sento i rumori esterni; appena la coda inizia a muoversi, mi accorgo che le persone mi parlano e mi guardano accigliate. Mi scuffio, dichiaro che non mi ero reso bene conto di cosa stessi facendo, mi sposto in fondo alla fila, ma ormai è troppo tardi. Tutta la responsabilità di tutti i disagi delle persone che sono in coda è mia, mia la responsabilità della pandemia, anzi ne sono l’untore apparentemente sano, il paziente zero mai trovato, lo scienziato pazzo del remoto laboratorio cinese a cui la situazione è sfuggita di mano. Vengo processato sommariamente, linciato, lapidato, spogliato, cosparso di pece e piume e scortato fuori del quartiere a cavallo di un tronco; a capo dei vigilantes un pensionato con la sciarpa della Sampdoria portata a mo’ di mascherina (true story) e una casalinga di mezz’età che risente pesantemente della chiusura dei parrucchieri. In qualche modo sopravvivo, riesco fare la spesa, passare dal Bancomat, dal fruttivendolo e dal panificio, prima di arrivare finalmente a casa.
Pranzo al volo e pomeriggio di lavoro intenso; tardo pomeriggio dedicato al bricolage lavorando al mio Tavolo Brutto©.
Oggi è una specie di milestone nel decorso di questo disastro: ho saputo che il mio amico Paolo, che conosco dagli ’80 ma non vedevo da anni, ha contratto il virus ed è intubato in terapia intensiva. Ha due figlie, non ha altre patologie e ha 5 o 6 anni meno di me: improvvisamente la mia paura è salita di un livello. Vi lascio con questa nota triste, ma non si può sempre essere positivi su tutto. A domani, forse.