Ieri sono passato davanti al Padiglione Malattie Complesse dell’ospedale che l’anno scorso mi ha offerto ospitalità non richiesta per otto cicli di chemioterapia e, come ogni volta che accade, si sono scatenate emozioni diverse e complesse.
Mi trovo spesso a riflettere quanto e come mi abbia cambiato questa esperienza, e realizzo che ho scisso il mio vissuto in due parti che non dovrebbero esistere eppure ogni volta le ritrovo che mi sgomitano in testa per reclamare il loro posto.
Accanto a quello che ciascuno può immaginare, come le cose brutte, lo sconforto, la speranza, la sofferenza fisica, l’altalena emotiva, la preoccupazione, il sollievo, c’è anche qualcosa che ricordo con un tiepido piacere.
Durante la malattia, mentre soffrivo sia dentro che fuori, sono stato abbastanza fortunato da avere persone che si prendevano cura di me, dal conforto agli spostamenti, dal cibo alle cure; proprio per questo le emozioni, ricordando i giorni di ricovero, sono molte e molto diverse, e per qualche ragione sono riuscito a isolare la parte “buona” e a darle dignità ed importanza.
Per questo quando ripasso davanti alle finestre che mi hanno visto preoccupato e in lacrime, sollevato e speranzoso, sofferente e disperato, grato e fiducioso, mi piace ricordare anche quel senso di cura e calore che il personale medico e paramedico è riuscito a trasmettermi, quel prendersi cura di me perfino al di là di quelle che pensavo essere le mie esigenze del momento. E la sensazione è talmente vivida da farmi quasi venire dei sensi di colpa: “Come puoi associare qualcosa di positivo a un periodo così nero della tua vita?” – mi chiede il diavoletto interiore. Eppure mi pace pensare che ogni brutta esperienza vissuta lasci una lezione, una sensazione, un ricordo e che sia importante riconoscerne tutti gli aspetti al di là di quelli preponderanti, come un vecchio quadro senza valore che si rivela un’opera d’arte grattando via il soggetto che qualche pittore da quattro soldi ha dipinto con i suoi sgangherati scarabocchi.
Non è finita, naturalmente; non sono “guarito”, sono in “remissione”: un limbo in cui dovrò stare per altri 4 anni, dopodiché vedremo se sarà l’inferno o il paradiso.
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